News dall’ Abruzzo

27Giugno Manifestazione per la ricostruzione a l’Aquila


immagine-1100% RICOSTRUZIONE


Gli edifici distrutti o danneggiati dal sisma, abitazioni e sedi di attività produttive, economiche o professionali, siano tutti ricostruiti o riparati.
È quel che è accaduto negli altri terremoti. È quello che deve essere
assicurato anche alla città di L’Aquila e al suo territorio. I limiti
ai finanziamenti introdotti per i terremotati aquilani in relazione a
distinzioni fra tipi di edifici, di proprietà, di danno sono
inaccettabili.
Al recupero e al restauro del patrimonio storico-artistico, urbanistico e monumentale siano assicurati i fondi e le competenze necessarie.
I finanziamenti previsti non lasciano alcuna speranza circa la
sorte dell’insieme straordinario di beni architettonici, artistici,
culturali in genere che il terremoto ha così duramente ferito. Al loro
recupero e alla restituzione ai cittadini del centro storico vanno
destinate norme specifiche e finanziamenti adeguati.
Si dia ora alle scuole e all’università la certezza di riaprire, in autunno, i loro battenti in città.
Si ripari, si ricostruisca, si allestiscano sedi provvisorie. Si
dia certezza alle famiglie. Si riportino a L’Aquila le sedi
universitarie che sono state incautamente disperse.
Si creino le condizioni perché le amministrazioni pubbliche tornino a L’Aquila con il complesso delle loro attività.
Non si lavora alla rinascita di una città capoluogo di regione
frammentando e disperdendo le sue funzioni. Non si restituisce una
parvenza di vita normale ai cittadini rendendoli nomadi fra una
sistemazione remota e un lavoro dislocato altrove. Alla ricostruzione si assicurino finanziamenti adeguati e certi, in tempi rapidi.
Il decreto affida il reperimento di fondi al taglio delle spese
e al ricavato di nuovi “gratta e vinci”, ma la ricostruzione non è un
gioco e va pagata con soldi veri e sicuri. La stima dei danni, e quindi
dei costi, sia coerente con la comparazione fatta con i danni del
terremoto di Umbria e Marche, che sono stati valutati di 4 volte
inferiori.
Alla vita economica si dia il respiro di una vera zona franca.
I 45 milioni di euro di finanziamento in quattro anni previsti
dal decreto sono meno di uno specchietto per le allodole, certo non la
premessa della rinascita economica. Ma senza lavoro la città muore
comunque.
Si dia certezza immediata di un compenso adeguato a chi ha subito la prevaricazione dell’esproprio.
Famiglie già duramente colpite dal terremoto sono state private
di un reddito possibile, dei proventi di un’attività agricola
familiare, della prospettiva di uno spazio dove allestirsi almeno una
sistemazione provvisoria. Il decreto prevede per loro un compenso
ignoto, che conosceranno fra sei mesi.
100% PARTECIPAZIONE
I cittadini siano coinvolti nelle scelte che tracciano il loro futuro.
Le decisioni che oggi si assumono condizionano in maniera
stringente la vita presente e segneranno la storia della città e dei
suoi abitanti per i prossimi decenni. È inaccettabile che siano calate
dall’alto, ignorando la volontà di coloro dei quali determineranno il
destino. Le scelte tornino al territorio e le istituzioni locali
attivino gli strumenti ufficiali, leggi e regolamenti, che rendano
effettivo il diritto di partecipazione per tutti.
Siano ripristinate tutte le forme di tutela del cittadino che la normativa di gestione del dopo terremoto ha derogato
dal pieno diritto di accesso agli atti amministrativi, alla tutela dell’ambiente, dalle
disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, al codice dei contratti pubblici.100% TRASPARENZA
Il flusso del denaro sia sempre visibile, tracciabile, chiaro.
La provenienza dei finanziamenti, la loro destinazione, i costi
della gestione dell’emergenza e della ricostruzione, l’impiego delle
donazioni e le spese della Protezione civile siano messi a disposizione
dei cittadini, in forma comprensibile, in dettaglio e in tempo reale.
Le decisioni assunte e le loro ragioni siano comunicate con tempestività e trasparenza.
I piani e i programmi di intervento, i loro autori, le
informazioni e i dati sui quali essi si fondano, siano messi a
disposizione dei cittadini per tempo e con chiarezza. Ciascuna
istituzione renda noto senza reticenze il ruolo che ha svolto e sta
svolgendo, assumendosene la doverosa responsabilità.
DA SUBITO

Siano resi ai cittadini nelle tendopoli i loro diritti inviolabili, di informazione, di circolazione, di assemblea.
Si rimuovano i divieti pretestuosi e non necessari che
infrangono la carta costituzionale e offendono gli uomini liberi, tanto
più se in condizioni di bisogno, e si trattino gli abitanti dei campi
come cittadini adulti, non come ospiti incapaci                                                                                      Si restituiscano gli abitanti alla città.
Si lavori a soluzioni alternative alla costosa sistemazioni in albergo,
lontano dai propri concittadini e dai propri luoghi. Questa
deportazione priva di certezze è la premessa dello spopolamento.
Si torni indietro rispetto alla decisione inumana del lungo soggiorno nelle tende.
Il caldo dell’estate, il freddo dell’autunno e forse
dell’inverno, la convivenza forzata fra sconosciuti, il disagio dei
servizi igienici precari e comuni infliggono una sofferenza
intollerabile a chi ha perso già tutto. Si restituisca ai cittadini al
più presto, come è accaduto per gli altri terremoti, la dignità e il
conforto di un alloggio decoroso e privato nel quale ritrovare la
parvenza di una vita propria.
Si riveda, di conseguenza, in maniera sostanziale il piano C.A.S.E..                                                                                                                                                  
E’, nella sua forma attuale, una soluzione inaccettabile per i
lunghi tempi di permanenza nelle tende che impone, devastante per un
territorio rurale, nel quale inserisce palazzine urbane e una densità
di popolazione che trasformano i paesi in periferie, insufficiente per
le esigenze di alloggi alle quali nei prossimi mesi si dovrà fare
fronte, tanto più perché fondata sulla scommessa che la terra smetta di
tremare.

Si dia risposta alle giuste richieste dei Vigili del fuoco.


La gratitudine meritata con la competenza, la vicinanza,
l’abnegazione senza riserve, il rischio corso per portarci aiuto ci
pone al loro fianco.

 

Lettera dall’Abruzzo: Cara Redazione,

terremoto.jpgsono
Pina Lauria e sono residente a L’Aquila; attualmente “abito” presso la
tendopoli ITALTEL 1, perché alla mia casa, che devo ancora finire di
pagare, è stata assegnata la lettera E, che in questo drammatico
alfabeto significa “danni gravissimi”.
Scrivo per illustrarvi alcune considerazioni, di carattere generale
e, più in particolare, relative alla qualità della vita nei campi.
Intanto, evidenzio la grande confusione che c’è nella città: a quasi
due mesi dal terremoto, viviamo ancora uno stato di emergenza. Uno dei
grandi nemici di questi giorni, e dei prossimi, è il caldo: arriveranno
i condizionatori ma risolveranno ben poco perché, come sicuramente
sapete, il condizionatore funziona in una casa, con le pareti di
cemento e con le finestre chiuse, non in una tenda, dove il sole batte
a picco e da dove si esce e si entra….inoltre, la tenda non è che si
chiude ermeticamente!                   
Allora, il problema vero è questa lunga permanenza nella tendopoli
alla quale saremo costretti fino ai primi di novembre.   E’ assurdo ed
inconcepibile che, per saltare una “fase”, come ha detto il Presidente
del Consiglio, bisogna aspettare circa sette mesi per avere una casa,
comunque sia. E a novembre, se le cifre rimangono quelle dette dal
Governo e dalla Protezione Civile, saranno soltanto 13 mila i cittadini
aquilani che potranno lasciare le tende. Su questo vorrei chiarire che
si sta assistendo ad un balletto delle cifre che nasconde una amara
verità. Mi spiego. Queste cifre si riferiscono alle verifiche finora
effettuate ed alle risultanze avute. Si sta ragionando in questi
termini: se su un tot di case verificate, è risultata una agibilità
pari al 53%, e mantenendo questo trend, allora le case inagibili
saranno all’incirca 5.000 per 13 mila persone.
L’agibilità è stata dichiarata per le abitazioni dei paesi vicini a
L’Aquila; i quartieri nelle immediate vicinanze del centro storico, a
ridosso delle mura (Sant’Anza (il quartiere dove abito), Valle Pretara,
Santa Barbara, Pettino, tutti molto popolosi, hanno le case inagibili.
Inoltre, bisogna considerare che il centro storico ancora non viene
sottoposto ad alcun tipo di verifica perché, a tutt’oggi, è zona rossa.
Nel centro storico risiedono circa 12 mila cittadini, senza contare
i domiciliati, soprattutto gli studenti fuori sede. Allora, a novembre
dovrebbero avere la casa almeno 26.000 cittadini, facendo un calcolo al
ribasso perché, considerando anche gli abitanti dei quartieri
distrutti, gli immobili da recuperare con interventi molti consistenti
e, quindi, con tempi necessariamente lunghi, sicuramente le abitazioni
necessarie dovrebbero essere sull’ordine delle 45 mila persone.
Questo è il futuro che ci aspetta e lo tengono nascosto! Ma il
Presidente del Consiglio ha detto che, comunque, le tende sono già
dotate di impianto di riscaldamento, e quel”già” mi ha molto inquietato.
Non possiamo accettare di restare nelle tende fino a novembre, e sicuramente fino a marzo del 2010!
Questo ragionamento lo stavo facendo alcuni giorni fa al campo:
prima con alcune persone, poi si sono avvicinati altri ed eravamo
diventati un bel gruppetto: dopo alcuni minuti dal formarsi
dell’”assembramento non autorizzato”, sono arrivati i carabinieri, in
servizio all’esterno del campo. Ho chiesto se ci fosse qualche
problema. Mi hanno risposto che non c’era alcun problema, ma restavano
anche loro ad ascoltare.
Conclusione: dopo alcuni minuti, tutti ce ne siamo ritornati nelle
tende.Racconto questo episodio, e ne posso citare tanti altri (ad
alcuni componenti di vari comitati cittadini, che stavano raccogliendo
le firme per il contributo del 100% per la ricostruzione o
ristrutturazione della casa, è stato vietato l’accesso nei campi), per
denunciare quello che definisco la sospensione dei diritti garantiti
dalla nostra Costituzione: libertà di opinione, di parola, di movimento.
Ora, posso comprendere, anche se non giustificare, un tale
comportamento nel primo mese, che secondo me rappresenta la vera fase
di emergenza, ma far passare tale logica antidemocratica per 7 mesi, ed
anche di più, somiglia più ad un colpo di Stato che ad una “protezione
civile”. Adesso mi trovo per qualche giorno a Bologna, presso mia
figlia Mara che sta ultimando un dottorato in Diritto del Lavoro (senza
borsa, perché l’Alma Mater non aveva i fondi a sufficienza per
finanziare tutte e quattro i posti messi a bando: Mara si è posizionata
terza, paga una tassa di iscrizione al dottorato di circa 600 euro
l’anno e un affitto di 500 euro mensili, più le spese); proprio questa
mattina ho dovuto chiamare il responsabile del mio campo perché la
famiglia che abita con me mi ha informato che si stavano effettuando i
controlli per assegnare il nuovo tesserino di residente al campo (ne
possiedo già uno). Mi ha preso una tale agitazione tanto da sentirmi
male: questa procedura che si ripete spesso nei campi, l’esibizione del
documento e l’autorizzazione di accesso per gli “esterni”che ti vengono
a fare visita, e magari sono i tuoi fratelli, sorelle, madri e padri
che hanno trovato sistemazione in altri campi o luoghi, il fatto che
adesso, nonostante avessi preventivato di stare un po’ di tempo con mia
figlia, debba rientrare per avere di nuovo il tesserino, dietro
presentazione di un documento di riconoscimento, anche se sono già tre
volte che i responsabili del campo hanno annotato il numero della mia
carta di identità, mi scuote in maniera incredibile. Ma la Protezione
Civile mi deve proteggere in maniera civile o mi deve trattare come se
fossi in un campo di concentramento? Il responsabile del mio campo, quando gli ho
parlato questa mattina, mi ha detto che non c’era alcun problema, che
potevo tornare quando volevo, riconsegnare il vecchio tesserino e
prendere il nuovo, e comunque dovevo comunicare l’allontanamento dal
campo, la prossima volta che ciò sarebbe accaduto. Mi chiedo: perché
devo comunicare i miei spostamenti? La tenda, adesso, è la mia casa ed
ho timore che lo sarà per molto tempo, almeno fino a novembre. Quale è
la norma che mi impone di comunicare i miei spostamenti? Se mi si
risponde che si è in presenza di una situazione di emergenza, e che
tale situazione durerà mesi e mesi, allora siamo veramente in presenza
di un pauroso abbassamento del livello di democrazia!
Non sono “vaporosa”, non sono arrabbiata: sono esacerbata! Ritengo
che la nostra città stia diventando non una città da ricostruire, ma
una città “laboratorio”, in cui si vuole sperimentare il nuovo modello
di società: privo di diritti, passivo, senza bisogni: quello che ti do
è frutto della buona volontà dei volontari o dell’imperatore e lo
prendi dicendo anche grazie! Mi rifiuto! E si rifiutano i cittadini
aquilani! Sui nostri corpi, sulle nostre menti, sulle nostre coscienze,
sulle nostre memorie nessuno ha il diritto di mettere le mani! Un’altra
considerazione: le tende dell’emergenza sono tutte di otto posti, per
poter accogliere, in tempi molto brevi dopo l’evento catastrofico, il
maggior numero di persone. Di conseguenza, ci sono moltissime
situazioni di promiscuità (la vivo io stessa, con un’altra famiglia che
ha due bambini piccoli). Ritorno sempre alla considerazione di prima:
una situazione di promiscuità può essere proposta ed accettata, a causa
del disorientamento totale in cui ognuno si trova dopo un evento così
terribile, per un mese, ma non per 7 o più mesi! In alcune tende sono
insieme anche tre nuclei familiari! Mi chiedo: non si vogliono
utilizzare i containers, ma allora il Presidente del Consiglio, che ha
tante bellissime idee (sulle donne, sui giudici, sul Parlamento, sulla
Costituzione) perché non pensa a far arrivare tende da quattro? O
meglio, perché non riesce a garantire, da subito, una sistemazione
dignitosa, senza costringermi ad andare sulla costa o in appartamenti
situati nell’ambito della Regione Abruzzo, sicuramente non a L’Aquila,
dove vi è la distruzione totale?
Proprio ieri, un gruppo di psicologi ha affermato che tale
situazione di promiscuità sta distruggendo le famiglie perché, a parte
le discussioni che ci sono, dalle cose più grandi a quelle più piccole
(pensate che si sta litigando anche per i condizionatori, quelli che li
hanno, perché alcuni li vogliono accesi, i “coinquilini” li vogliono
spenti; chi vuole guardare la televisione e chi vuole riposare), la
mancanza di intimità e di momenti privati determina nervosismo e
sensazione di annullamento di ogni sentimento, senza considerare che
nei campi non esiste nessun momento di intimità, né nei bagni, né nelle
docce, né a pranzo né a cena.
Non posso restare in silenzio ed accettare passivamente: voglio essere
protagonista della mia vita e della ricostruzione della mia città, e
non voglio sentirmi come una partecipante del Grande Fratello! Non
abbiamo intenzione, noi aquilani, di essere triturati dalla società
dello spettacolo: alle menzogne mediatiche opporremo la nostra intelligenza, volontà e coraggio….e la nostra rabbia.

L’Aquila è la mia, la nostra città e non è in vendita, per nessuno!
Spero che questa mia lettera venga da voi presa in considerazione: sono
forte, coraggiosa…come tutti voi e spero che possiate darmi voce.
Vi ringrazio, di cuore…anche se spezzato!

Ciao a tutti





 



 


Questa voce รจ stata pubblicata in Emergenza Abruzzo. Contrassegna il permalink.